Negli ultimi tempi l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della sua attività di controllo e verifica, sta indirizzando la propria attenzione alle attività svolte dalle associazioni senza scopo di lucro.
La responsabilità degli organi direttivi degli enti no profit rappresenta quindi un problema attuale, che emerge soprattutto nell’ambito delle risultanze dei numerosi accertamenti eseguiti dall’Amministrazione finanziaria, la quale potrebbe riprendere a tassazione presunti maggiori redditi, attribuendo una responsabilità diretta ex articolo 38 cod. civ. in capo agli organi di rappresentanza (presidenti ed organi direttivi), quale conseguenza diretta dell’imperfetta autonomia patrimoniale degli enti non riconosciuti.
Il caso concreto che s’intende esaminare riguarda un accertamento tributario eseguito nei confronti di un’associazione di categoria di piccoli artigiani: i verificatori fiscali, in sede di accertamento rilevavano l’omesso invio del modello Eas e verificavano altresì il corretto inserimento delle clausole obbligatorie che lo statuto deve contenere (ex articolo 148, comma 8, Tuir, in relazione alla stretta connessione tra requisiti formali e quelli sostanziali).
L’Amministrazione Finanziaria rilevando solo il mancato invio del modello Eas e non tenendo conto del corretto comportamento concludente tenuto dalla contribuente ex articolo 2 D.P.R. 442/1997 (“L’opzione e la revoca di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili …”), accertava induttivamente ex articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973, maggiori redditi ed Iva, oltre sanzioni ed interessi, precostituendosi un titolo esecutivo per poter agire nei confronti del Presidente dell’associazione (fra l’altro soggetto terzo rispetto ai soci), la cui rappresentanza permaneva a titolo gratuito.
Veniva dunque notificato un atto accertativo sia nei confronti dell’ente e sia nei confronti del Presidente dell’associazione a cui veniva intimato il pagamento delle maggiori imposte e sanzioni, individuandolo quale responsabile del debito tributario del sodalizio, oltre per il già citato ex articolo 38 cod. civ., anche in forza dell’articolo 1143 cod. civ., nonché per le sanzioni conseguenti ex articolo 2, comma 2, D.Lgs. 472/1997. Invero, la responsabilità degli organi direttivi viene richiamata dall’articolo 38 cod. civ. (rubricato “Obbligazioni”) il quale dispone che “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
Il primo comma sancisce che i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune dell’associazione in caso di obbligazioni assunte da persone che la rappresentano: fondo che è destinato dunque a soddisfare i terzi in chiave di vero e proprio patrimonio dell’associazione non riconosciuta. L’autonomia patrimoniale degli Enti non riconosciuti non è però “perfetta” e pertanto – al fine di tutelare i creditori – il secondo comma associa al fondo comune la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione.
Ed è proprio richiamando questo primo inciso normativo che l’Agenzia delle Entrate motiva gli atti accertativi, motivandoli solo apparentemente (quindi in evidente violazione dell’articolo 3 L. 241/1990 ed articolo 7 L. 212/2000). Tale responsabilità però (di tipo contrattuale), secondo costante giurisprudenza, non è (non dovrebbe essere) però collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione bensì, ciò che concretamente rileva, è l’attività negoziale effettivamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’associazione e i terzi (Cassazione, n. 12473/2015, n. 20485/2013, n. 19486/2009, n. 25748/2008). Diventa dunque indispensabile, ai fini della determinazione della responsabilità del legale rappresentante, dar prova dell’ingerenza nell’attività dell’Ente (Cassazione, n. 22861/2018).
Ed ancora con ordinanza n. 22861 del 26.09.2018 la Corte di Cassazione ha decretato che la responsabilità personale e solidale del rappresentante dell’associazione non riconosciuta si applica anche ai debiti di natura tributaria ma ciò che è necessario al fine di accertare tale responsabilità è “non solo l’ingerenza di tale soggetto nell’attività dell’ente che rappresenta, ma anche il corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti”. Da ultimo, nel febbraio 2019, la medesima sezione, chiamata a pronunciarsi su un altro simile caso, ha nuovamente confermato che, ai fini della individuazione della responsabilità personale e solidale, è elemento essenziale la dimostrazione della concreta gestione degli affari associativi (Cassazione, n. 5684/2019).
Ed infatti, “per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura” (Cassazione, n. 25650/2018, n. 19486/2009).
Si può quindi affermare che, in tema di associazioni non riconosciute, caratterizzate da un’autonomia patrimoniale imperfetta e di conseguenza dalla mancanza di ogni forma di controllo e di pubblicità legale che impedisce ai creditori di verificarne l’effettiva consistenza patrimoniale, sono chiamati a rispondere dei debiti (di natura tributaria e non) anche i rappresentanti delle stesse associazioni – limitatamente al periodo di reale investitura della carica – purché però venga dimostrata in maniera chiara ed inequivocabile l’attività di gestione svolta in nome e per conto dell’associazione.
Pertanto, siamo dell’avviso che disattendere l’orientamento ormai consolidato dei giudici del Palazzaccio, non solo determinerebbe l’emanazione di atti palesemente illegittimi, ma costituirebbe un forte deterrente negli operatori di un settore molto importante del sistema Italia come quello del no profit.
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Associazioni non riconosciute: profili di responsabilità
Negli ultimi tempi l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della sua attività di controllo e
verifica, sta indirizzando la propria attenzione alle attività svolte dalle associazioni senza
scopo di lucro.
La responsabilità degli organi direttivi degli enti no profit rappresenta quindi un problema
attuale, che emerge soprattutto nell’ambito delle risultanze dei numerosi accertamenti
eseguiti dall’Amministrazione finanziaria, la quale potrebbe riprendere a tassazione presunti
maggiori redditi, attribuendo una responsabilità diretta ex articolo 38 cod. civ. in capo agli
organi di rappresentanza (presidenti ed organi direttivi), quale conseguenza diretta
dell’imperfetta autonomia patrimoniale degli enti non riconosciuti.
Il caso concreto che s’intende esaminare riguarda un accertamento tributario eseguito nei
confronti di un’associazione di categoria di piccoli artigiani: i verificatori fiscali, in sede di
accertamento rilevavano l’omesso invio del modello Eas e verificavano altresì il corretto
inserimento delle clausole obbligatorie che lo statuto deve contenere (ex articolo 148, comma
8, Tuir, in relazione alla stretta connessione tra requisiti formali e quelli sostanziali).
L’Amministrazione Finanziaria rilevando solo il mancato invio del modello Eas e non tenendo
conto del corretto comportamento concludente tenuto dalla contribuente ex articolo 2 D.P.R.
442/1997 (“L’opzione e la revoca di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti
del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili …”), accertava induttivamente
ex articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973, maggiori redditi ed Iva, oltre sanzioni ed interessi,
precostituendosi un titolo esecutivo per poter agire nei confronti del Presidente
dell’associazione (fra l’altro soggetto terzo rispetto ai soci), la cui rappresentanza permaneva a
titolo gratuito.
Veniva dunque notificato un atto accertativo sia nei confronti dell’ente e sia nei confronti del
Presidente dell’associazione a cui veniva intimato il pagamento delle maggiori imposte e
sanzioni, individuandolo quale responsabile del debito tributario del sodalizio, oltre per il già
citato ex articolo 38 cod. civ., anche in forza dell’articolo 1143 cod. civ., nonché per le sanzioni
conseguenti ex articolo 2, comma 2, D.Lgs. 472/1997.
Invero, la responsabilità degli organi direttivi viene richiamata dall’articolo 38 cod. civ.
(rubricato “Obbligazioni”) il quale dispone che “Per le obbligazioni assunte dalle persone che
rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle
obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
Il primo comma sancisce che i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune
dell’associazione in caso di obbligazioni assunte da persone che la rappresentano: fondo che è
destinato dunque a soddisfare i terzi in chiave di vero e proprio patrimonio dell’associazione
non riconosciuta.
L’autonomia patrimoniale degli Enti non riconosciuti non è però “perfetta” e pertanto – al fine
di tutelare i creditori – il secondo comma associa al fondo comune la responsabilità personale
e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione.
Ed è proprio richiamando questo primo inciso normativo che l’Agenzia delle Entrate motiva gli
atti accertativi, motivandoli solo apparentemente (quindi in evidente violazione dell’articolo 3
L. 241/1990 ed articolo 7 L. 212/2000).
Tale responsabilità però (di tipo contrattuale), secondo costante giurisprudenza, non è (non
dovrebbe essere) però collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione bensì,
ciò che concretamente rileva, è l’attività negoziale effettivamente svolta per conto di essa e risoltasi
nella creazione di rapporti obbligatori fra l’associazione e i terzi (Cassazione, n. 12473/2015, n.
20485/2013, n. 19486/2009, n. 25748/2008).
Diventa dunque indispensabile, ai fini della determinazione della responsabilità del legale
rappresentante, dar prova dell’ingerenza nell’attività dell’Ente (Cassazione, n. 22861/2018).
Ed ancora con ordinanza n. 22861 del 26.09.2018 la Corte di Cassazione ha decretato che la
responsabilità personale e solidale del rappresentante dell’associazione non riconosciuta si
applica anche ai debiti di natura tributaria ma ciò che è necessario al fine di accertare tale
responsabilità è “non solo l’ingerenza di tale soggetto nell’attività dell’ente che rappresenta, ma
anche il corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti”.
Da ultimo, nel febbraio 2019, la medesima sezione, chiamata a pronunciarsi su un altro simile
caso, ha nuovamente confermato che, ai fini della individuazione della responsabilità
personale e solidale, è elemento essenziale la dimostrazione della concreta gestione degli
affari associativi (Cassazione, n. 5684/2019).
Ed infatti, “per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi
del relativo presupposto, è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie
quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la
complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo
all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito
di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura” (Cassazione, n.
25650/2018, n. 19486/2009).
Si può quindi affermare che, in tema di associazioni non riconosciute, caratterizzate da
un’autonomia patrimoniale imperfetta e di conseguenza dalla mancanza di ogni forma di
controllo e di pubblicità legale che impedisce ai creditori di verificarne l’effettiva consistenza
patrimoniale, sono chiamati a rispondere dei debiti (di natura tributaria e non) anche i
rappresentanti delle stesse associazioni – limitatamente al periodo di reale investitura della
carica – purché però venga dimostrata in maniera chiara ed inequivocabile l’attività di gestione
svolta in nome e per conto dell’associazione.
Pertanto, siamo dell’avviso che disattendere l’orientamento ormai consolidato dei giudici del
Palazzaccio, non solo determinerebbe l’emanazione di atti palesemente illegittimi, ma
costituirebbe un forte deterrente negli operatori di un settore molto importante del sistema
Italia come quello del no profit.
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Edizione di sabato 16 marzo 2019
Categorie Notizie